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Andrea De Simone si racconta: laurea con lode e due titoli con Central Methodist

Da Genova a Fayette, Missouri, nel cuore degli Stati Uniti. Prima del ritorno in Liguria, con una laurea con lode e due campionati nazionali in bachecaAndrea De Simone è uno dei primi studenti-atleti laureati tra quelli lanciati negli Usa da YesWeCollege, che dal 2016 sta aiutando tanti ragazzi, desiderosi di portare avanti ad alti livelli sia la carriera universitaria che quella calcistica, ad ottenere le borse di studio per poter vivere il loro sogno americano. È proprio così che Andrea, classe ’96, è riuscito a conciliare sport e studi ad alto livello, vincendo due titoli con la sua Central Methodist University e conseguendo con lode il Major in Business & Management, che gli ha aperto le porte del mondo del lavoro. De Simone ci ha raccontato il suo percorso negli States, in una chiacchierata nella quale ha condiviso i suoi ricordi da studente-atleta e il suo presente da neoassunto grazie al titolo di studio ottenuto brillantemente nell’ateneo del Missouri.

Allora Andrea, come ci si sente al termine del percorso universitario?


Direi che i due anni e mezzo vissuti negli Stati Uniti sono veramente volati. Sembra un luogo comune, ma per me è stato veramente così. Sono arrivato a Central Methodist nell’agosto del 2017, dopo aver iniziato l’università in Italia nel 2015, e lo scorso dicembre sono riuscito a laurearmi con un semestre di anticipo sulla tabella di marcia”.

Avendo già cominciato gli studi universitari in Italia, hai potuto trasferire i crediti degli esami già sostenuti?

Nel 2015 mi sono iscritto alla facoltà di Ingegneria Gestionale, un corso del quale non esisteva l’esatto omologo a Central Methodist. Negli Usa ho scelto il major in Business & Management, il corso che più si avvicinava a quello che avevo iniziato in Italia e che mi consentiva di riportare il maggior numero di crediti. L’ho trovato molto interessante e sono riuscito a laurearmi col massimo dei voti e la lode, quindi direi che non posso che essere soddisfatto della scelta fatta al mio arrivo negli States”.

Nella tua doppia veste da studente-atleta hai ricevuto anche importanti riconoscimenti accademici dal tuo ateneo.

Esatto, ogni anno le varie scuole assegnano dei premi ai loro studenti che si mettono maggiormente in mostra, in ambito accademico e sportivo. Il primo anno ho ottenuto lo Shallenburger Award per aver preso due classi di accounting col massimo dei voti, mentre nel 2018 ho ricevuto il Daktronics-NAIA Scholar-Athlete Award per l’ottima media tenuta nei corsi del dipartimento di management”.

Dividendoti tra impegni calcistici ad alti livelli e uno studio alla ricerca dell’eccellenza, la tua vita da studente-atleta dev’essere stata molto intensa.

In generale, le giornate di ogni studente-atleta tendono ad essere molto dense di impegni, a maggior ragione per chi come me ha cercato di portare avanti entrambe le carriere con gli standard più alti possibili. Tra allenamenti, trasferte e partite mi è capitato spesso di dovere finire degli assignment o di studiare fino a tarda notte, ma devo dire che questa esperienza mi sta tornando molto utile nei primi passi che sto muovendo nel mondo lavorativo”.

Spostiamoci proprio sul tuo presente da neo-laureato: come si sta svolgendo l’inizio della tua carriera professionale?

Il mio piano era quello di rimanere negli Stati Uniti, sfruttando l’anno di visto lavorativo che viene garantito ad ogni studente appena laureato. Purtroppo non sono riuscito a trovare soluzioni in linea con le mie aspettative, e a quel punto ho deciso di tornare in Italia per sondare le opportunità del mercato del lavoro. Appena rientrato, ho ricevuto subito molte offerte e sostenuto vari colloqui, grazie alla laurea in un settore come quello del management che mi ha aperto molte strade da poter percorrere. Alla fine ho accettato l’offerta di una multinazionale tedesca che si occupa di importa-export e ha filiali in una trentina di paesi, tra cui quella italiana con sede a Genova. Sono stato assunto nel dipartimento logistico, che ha il compito di gestire il canale distributivo dell’azienda in Italia. Lavoro in team e in una posizione interessante e stimolante, i ritmi sono piuttosto serrati ma sto imparando giorno dopo giorno, e posso ritenermi più che soddisfatto di questo primo sbocco professionale al termine del mio percorso universitario”.

Voltiamo pagina e facciamo un passo indietro. Come ci si sente con due titoli di campione nazionale NAIA in bacheca?

“È una bellissima sensazione! Abbiamo scritto una pagina importante di storia, perché erano passati tantissimi anni dall’ultima volta in cui una università era stata capace di fare il back-to-back, vincendo due campionati consecutivi. Ci siamo riusciti, e sono fiero di aver contribuito a conquistare questi due titoli nazionali”.

Raccontaci qualcosa della tua esperienza con la maglia degli Eagles.

Sono arrivato in America dopo quattro campionati di Eccellenza con la Sestrese, e ad essere sincero il mio atteggiamento iniziale era quello di chi si aspetta di giocare con continuità in un calcio che pensavo più semplice rispetto a quello al quale ero abituato. Dopo i primi allenamenti a Central Methodist, però, ho capito che mi sbagliavo di grosso, anche perché fin dal mio primo anno nel college abbiamo avuto una squadra di altissimo livello, con un solo americano e giocatori internazionali di grande talento. Nella prima stagione non ho trovato molto spazio: a causa di alcuni intoppi burocratici ho potuto iniziare a giocare soltanto a stagione in corso, e inoltre coach Nichols è un tipo simile al primo Sarri, che ha i suoi undici titolari e la sua idea di gioco ed è poco incline ai cambiamenti in corsa. Sono stato addirittura sul punto di cambiare aria dopo il primo campionato, ma poi la scelta di restare si è rivelata vincente”.

Già, perché di lì a poco ti saresti laureato campione nazionale NAIA.

La mia seconda stagione è stata quella più bella, dal punto di vista calcistico. Ho iniziato a fari spenti per poi prendermi il posto da titolare, riuscendo a segnare cinque gol anche grazie all’avanzamento a centrocampo deciso dal coach. È stata un’annata pazzesca, lottata dall’inizio alla fine, nella quale ci siamo dovuti sudare ogni vittoria. Le finali in California, poi, rimarranno per sempre un ricordo indimenticabile. Siamo arrivati all’ultimo atto distrutti fisicamente, perché ai National ci sono quattro partite in cinque o sei giorni. Giocavamo contro i nostri rivali storici di Missouri Valley, e la sera prima del match sembravamo più un reparto di ospedale piuttosto che una squadra di calcio. I nostri avversari ci hanno messo sotto, siamo riusciti a portare il match ai rigori ed è cominciata un’altalena di emozioni: ho segnato il primo tiro dal dischetto, abbiamo sbagliato i due successivi andando in svantaggio prima del ribaltone finale che ci ha portato al titolo. Quei momenti restano uno dei ricordi più belli della mia esperienza negli States”.

Nel 2019, poi, è arrivato il bis.

Devo dire che la stagione successiva non era iniziata con le migliori premesse. Abbiamo perso alcuni giocatori importanti e pensavo che la squadra fosse di un livello leggermente inferiore rispetto a quella dell’anno precedente. Come se non bastasse, in preseason abbiamo raccolto una serie di risultati poco incoraggianti. Ma prima dell’inizio del campionato ci siamo seduti a tavolino e ci siamo detti tutto quello che avevamo da dirci, e da quel momento in poi per noi è iniziata una sorta di cavalcata trionfale. Non voglio dire che sia stata una vittoria facile, anche perché confermarsi è sempre complicato, ma abbiamo superato quasi in scioltezza tutti gli ostacoli che abbiamo trovato sul nostro cammino. Ho giocato sempre titolare e sono riuscito a segnare 7 gol, purtroppo alle finali mi sono dovuto fermare per un problema fisico ma sono comunque sceso in campo per una “passerella finale”, a risultato acquisito nel match valido per il titolo. Un ottimo modo per calare il sipario sulla mia carriera da studente-atleta”.

Se guardi indietro e ripensi ai tuoi due anni e mezzo in America, quali sono le sensazioni che ti porti dentro?

È un’avventura che consiglierei a chiunque, perché si è trattato di una vera e propria esperienza formativa a tutto tondo. Sono arrivato che ero l’unico italiano in squadra, e ho dovuto imparare a cavarmela vivendo per la prima volta lontano da casa. Porterò sempre con me tutte le amicizie che ho allacciato nel campus. Se penso che ieri sera ho parlato con un amico del Paraguay e con un altro della Colombia, ancora non mi sembra vero di avere avuto il privilegio di vivere una esperienza capace di segnarmi così profondamente. I miei due anni e mezzo negli Usa rimarranno una pagina stupenda del mio vissuto e saranno preziosi per il mio futuro, nel mondo del lavoro e non solo”.

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