Diventare un calciatore professionista è il sogno di ogni bambino che si allaccia per la prima volta un paio di scarpette da calcio. Per molti resterà un traguardo solo immaginato, pochi privilegiati potranno considerarlo un desiderio realizzato. Poi c’è chi, come Edoardo Calzola, è riuscito a raggiungere l’obiettivo, ma ha deciso che sarebbe stato più bello continuare a inseguire il sogno dall’altra parte dell’Oceano. Già, perché il difensore classe ’99 ha colto al volo l’opportunità offertagli di YesWeCollege, meritandosi una borsa di studio con la quale ha iniziato la sua carriera da studente-atleta negli Stati Uniti. Così, dopo una trafila giovanile vissuta con il Perugia, un campionato di Serie D conquistato con la Vis Pesaro e una esperienza in Serie C con la Fermana (prima di un altro step in quarta serie col Campobasso), Calzola è approdato nell’agosto del 2019 alla University of Central Arkansas, con la cui maglia ha vissuto la sua prima stagione nel campionato universitario a stelle e strisce. Abbiamo contattato Edoardo direttamente dal campus di UCA, per farci raccontare i suoi primi mesi negli Usa e di come sta portando avanti il percorso universitario di pari passo con quello calcistico, con l’ambizione di ritagliarsi uno spazio tra i professionisti anche Oltreoceano. Al telefono la sua voce è entusiasta, chiaro segnale che la sua avventura negli States procede a gonfie vele.
Ciao Edoardo! Ti sentiamo davvero carico per questa nuova esperienza della tua vita.
“Non potrebbe essere altrimenti, visto che sto vivendo un’avventura che consiglierei davvero a tutti i ragazzi della mia età. Sono partito senza sapere nemmeno cosa aspettarmi, e mi sono ritrovato a vivere una realtà che ha praticamente raddoppiato i possibili sbocchi per il mio futuro, tanto dal punto di vista calcistico quando sul piano accademico”.
Che corso di studi hai scelto di seguire?
“Non avendo iniziato l’università in Italia, dal momento che mi sono concentrato sullo studio dell’inglese visto che il mio livello di partenza era piuttosto basso, ho potuto valutare tutte le opportunità offerte dal mio ateneo. Per il momento ho seguito i corsi di base, propedeutici per qualunque indirizzo venga scelto, e fin dal mio arrivo sono stato seguito da un Academic Advisor col quale sto costruendo il piano di studi più adatto alle mie aspirazioni e alle mie caratteristiche. Sono orientato su un Major in Business, l’indirizzo per il quale UCA è caratterizzata e riconosciuta come un’eccellenza negli Stati Uniti, oppure in Management”.
Sei arrivato in America con una esperienza in Serie C nel curriculum: che calcio hai trovato rispetto a quello a cui eri abituato in Italia?
“Molti mi chiedono se il soccer universitario sia più facile rispetto al nostro. Io rispondo che sicuramente si tratta di un modo di giocare diverso, perché in ogni partita di confronti con stili e filosofie di gioco del tutto differenti, che richiedono una grande capacità di adattamento alle situazioni nuove che ogni avversario riesce a proporti. La Sun Belt, la nostra conference di appartenenza, ha un livello medio molto alto, con partite tirate e combattute contro ogni avversario. Abbiamo affrontato anche altri atenei d’élite come SMU, università del Texas che anche da avversario ti dà gusto a vederla per la qualità e l’efficacia con cui stanno in campo e giocano a calcio. Per quanto ci riguarda abbiamo la fortuna di avere un allenatore molto preparato come coach Duncan, che con i suoi accorgimenti ci ha portato alla vittoria nella regular season, anche se poi ci siamo mangiati le mani per la sconfitta in semifinale dei playoff, che ci ha impedito di arrivare ai National nonostante un ottimo ranking a livello nazionale”.
Sei stato inserito nell’All-Rookie Second Team della tua conference: un riconoscimento importante alla prima stagione negli Usa.
“Sono soddisfatto del mio primo campionato NCAA. Ho giocato con buona continuità (14 presenze, 12 delle quali da titolare, con due gol e tre assist, ndr.) e l’inserimento nel secondo miglior undici degli esordienti ha rappresentato una grande soddisfazione e un grande onore, anche se si può sempre migliorare. C’è rammarico per non essere riusciti a raggiungere le fasi finali, ma ci siamo già rimboccati le maniche con l’obiettivo di riproporci sugli ottimi livelli del 2019 e di qualificarci finalmente per i National”.
Com’è stato l’inserimento in squadra e nel nuovo ambiente del college?
“Devo ammettere che prima di partire ero un po’ spaventato, perché il mio inglese era un po’ zoppicante e non sapevo cosa mi avrebbe aspettato al mio arrivo in Arkansas. Ma ho trovato un’accoglienza che mi ha quasi spiazzato, per la disponibilità che tutti i miei nuovi compagni mi hanno mostrato fin dal primo giorno. I madrelingua mi hanno fatto quasi da insegnanti, gli international invece mi hanno aiutato nella quotidianità della vita da studente-atleta, dandomi una mano grazie alla loro esperienza acquisita quando anche loro si erano trovati nella mia condizione. Fin da subito si è creata una chimica di squadra molto bella, un fattore che ci ha sicuramente aiutato nell’intesa in campo dalla quale sono scaturiti i buoni risultati della nostra stagione. Da parte mia spero di aver ricambiato tutto il supporto che ho ricevuto dai ragazzi. È stato un primo anno bellissimo, e stiamo già lavorando per migliorarci ancora nella prossima stagione”.
Un 2020 calcistico che per te comincerà a maggio, con una esperienza importante lontano dalla tua università.
“Esatto, una volta finito il semestre mi sposterò in Michigan per andare a giocare il campionato di Usl League Two, che corrisponde alla nostra Serie D. Ho ricevuto una proposta molto interessante dai Flint City Bucks, campioni in carica e quattro volte vincitori negli ultimi tredici anni, che mi permetterà di confrontarmi con un campionato importante, nel quale tanti ragazzi provenienti dal college cercano di mettersi in mostra per meritarsi una chiamata tra i professionisti. Ho già parlato col coach, che mi ha illustrato il progetto e gli obiettivi importanti della squadra, e non vedo l’ora di misurarmi in una lega che in passato ha aperto le porte della MLS a molti giovani”.
Una esperienza che quindi è importante per coltivare le ambizioni di sfondare tra i professionisti.
“Diciamo che le prospettive di un futuro di questo genere dipendono da molti fattori: la visibilità e il ranking del college in cui giochi, i contatti che la tua università e il tuo coach hanno con il mondo professionistico e via dicendo. Anche una esperienza importante in Usl può avere un peso specifico importante in questo senso: lo scorso anno ben tre ragazzi passati dalla squadra in cui giocherò da maggio sono stati scelti al Draft della MLS. Giocare nelle leghe estive quindi rappresenta un ottimo veicolo per mettersi in mostra e continuare a seguire il sentiero che può portarti verso il professionismo“.
Torniamo in Arkansas, nella tua UCA: raccontaci qualcosa della tua vita da studente-atleta.
“Penso che questa sia la parte più bella dell’esperienza negli Stati Uniti. Siamo un campus da circa 14.000 studenti, io condivido una stanza in dormitorio con un mio compagno di squadra anche se sto già cercando un nuovo alloggio in vista del prossimo anno, preferibilmente all’interno del college per avere tutto a portata di mano. Ogni giorno scopri cose nuove, e io sto cercando di vivere tutto al cento per cento, riempiendo la mia agenda in ogni singola giornata. Il mio primo anno è stato sicuramente impegnativo: tra classi al mattino, allenamenti al pomeriggio e lo studio serale il tempo a disposizione non è mai molto. Ma adesso che abbiamo finito la stagione sto scoprendo anche tante altre attività che il college mette a disposizione dei suoi studenti. Sto frequentando un corso per perfezionare ulteriormente la lingua, mi sto informando per iniziare una classe di musica e nel weekend ne approfitto per fare escursioni nella natura o scalate sulle montagne dell’Arkansas”.
Cosa significa essere uno studente-atleta di un college come UCA, che tra i suoi alunni celebri annovera un certo Scottie Pippen?
“Rappresentare i Bears è un privilegio, perché i membri delle squadre sportive sono visti come gli alfieri dell’ateneo in tutta America. UCA è una università di altissimo livello per il football e per il basket, con numerosi atleti e coach che si sono formati nel nostro campus, e mi dà grande gusto andare a sostenere i nostri compagni di altri sport nelle loro partite casalinghe. Anche noi del soccer abbiamo una discreta fan base, che si è fatta sentire nelle partite più importanti e nelle sfide dei playoff. In generale c’è un grande senso di appartenenza, e all’interno del college ogni squadra ha la sua club house, nella quale ci ritroviamo prima e dopo le partite che giochiamo in casa”.
Chiederti un bilancio del tuo primo anno negli Usa, alla luce di tutto quello che ci hai raccontato, sembra quasi retorico.
“Da piccolo guardavo i film americani e pensavo a come sarebbe stato provare una esperienza del genere. Adesso che la sto vivendo, posso dire che è addirittura migliore di come me la sarei aspettata. È una avventura che ti apre la mente e ti fa capire tante cose, mettendoti a confronto con ragazzi provenienti da tutto il mondo con i quali condividere le rispettive culture. Gli Usa sanno come sbalordirti, e l’ho imparato in questi primi mesi al college. E grazie alla borsa di studio da studente-atleta si può davvero avverare quello che, per tanti ragazzi come me, è il sogno americano“.