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Federico Cugge, da Sanremo a Niagara con un record da battere

Genova-Bologna andata e ritorno, poi il salto Oltreoceano. Una vita movimentata e mai banale quella di Federico Cugge da Sanremo, che con il calcio si sta regalando una occasione unica per rendere ancora più esaltanti i suoi ventidue anni. Partito dalle giovanili del Genoa e transitato per il vivaio del Bologna, il classe ’98 ha messo a curriculum esperienze importanti a cavallo tra Serie D e Eccellenza ligure, prima di decidere per una svolta netta. Federico ha infatti colto al volo l’opportunità di YesWeCollege, iscrivendosi agli Showcase 2018 e guadagnandosi una borsa di studio a Niagara University, dove sta vivendo la sua prima stagione da studente-atleta negli States. Un’annata che lo ha visto mettersi in luce con la maglia dei Purple Eagles, la formazione dell’ateneo dello Stato di New York che milita nel campionato NCAA Division I, la massima serie del calcio collegiale a stelle e strisce. Diciassette presenze, un gol da ricordare e la riscoperta da centrocampista dopo una carriera giocata in attacco. Ma quelle in campo sono solo una piccola parte delle esperienze vissute da Cugge, che da una settimana è rientrato in Italia a causa dell’emergenza coronavirus e che da casa completerà il suo primo anno accademico negli Usa. Lo abbiamo sentito al telefono in una chiacchierata tra aneddoti e risate: Federico ha il morale alto a dispetto della quarantena, e non potrebbe essere altrimenti dopo i primi mesi della sua avventura americana.

Ciao Federico! Parliamo di cose belle, in un momento non semplice: in due parole, quali sensazioni hai dopo questo primo anno quasi completo negli States?

Sto vivendo un’esperienza bellissima, che ti forma e di fa crescere su tutti i fronti. La vita da studente-atleta ti permette di imparare una nuova lingua, di scoprire un nuovo sistema accademico e di confrontarti con metodologie di lavoro diverse anche a livello calcistico. Il mio primo anno è stato uno splendido punto di partenza, e se penso a cosa ho fatto in questi mesi non vedo l’ora di tuffarmi negli altri tre anni che mi aspettano davanti a me”.

Sei arrivato a Niagara con alle spalle un anno di università in Italia: come ti sei organizzato nella scelta del corso di studi?


Mi ero iscritto alla facoltà di Scienze Motorie a Genova, dove ho sostenuto gli esami del primo anno. Sono riuscito a riportare un po’ dei crediti acquisiti, pur se in un corso leggermente diverso come quello di Sport Management, il più simile a quello che avevo iniziato in Italia. Ho notato subito le differenze, e dal mio punto di vista ritengo più efficace il sistema americano. Ho ottenuto una borsa di studio di quattro anni, il primo semestre è andato anche meglio del previsto e adesso punto a confermarmi con gli esami finali di maggio”.

Un cambiamento radicale il tuo, con la vita da studente-atleta che ti ha aperto nuovi orizzonti.


I primi mesi ti ‘danno il benvenuto’, perché sono un vero e proprio frullatore sotto tutti gli aspetti. Nella preseason e nella stagione, da agosto a metà novembre, non c’è un attimo di respiro: devi stare sul pezzo per conciliare un grande sforzo fisico, perché ci si allena tutti i giorni e si gioca due volte a settimana, e quello mentale per stare dietro a lezioni, compiti e esami. Sono mesi intensi ma bellissimi, perché è come vivere una specie di ritiro precampionato ‘a oltranza’: sei continuamente insieme ai tuoi compagni, viaggi in posti diversi tenendo sempre a portata di mano il computer e i materiali per studiare e tenersi al passo con le lezioni. Una full immersion nelle tue passioni: calcio e università”.

Questo contatto continuo coi compagni amplifica alla massima potenza anche il concetto di fare spogliatoio.


Costruire una chimica di gruppo è uno degli elementi basilari per la stagione. La squadra diventa la tua famiglia, perché insieme a loro non passi soltanto le due ore dell’allenamento bensì tutta la giornata: dalle lezioni al mattino ai pasti, dagli allenamenti al dormitorio. Tutto questo ti permette di creare un legame unico, dal quale beneficia non poco anche l’intesa in campo“.

Ottavo posto nella Metro Atlantic Athletic Conference: un giudizio sulla prima stagione calcistica?


Guardando la classifica potrebbe sembrare un’annata non esaltante, ma in realtà credo che abbiamo anche superato le aspettative. Eravamo una squadra molto giovane, composta per metà da giocatori al primo anno che si sono dovuti confrontare per la prima volta con un campionato nuovo, un paese nuovo e una cultura nuova. Siamo rimasti per buona parte della stagione in piena zona playoff, e la postseason ci è sfuggita solo per un calo nel finale. Il nostro è comunque un progetto pluriennale, e sono sicuro che con un anno in più di esperienza coach Boyle saprà guidarci verso traguardi importanti”.

Nel frattempo ti sei tolto la soddisfazione di segnare il primo gol in assoluto della vostra stagione.

È stato molto emozionante, perché oltre ad essere la mia prima rete negli States è stata anche la prima che siamo riusciti a segnare in campionato, e ci ha aiutato a vincere una partita all’ultimo respiro dopo due tempi supplementari contro Northern Kentucky. È stata anche la prima partita della mia carriera in cui ho giocato a centrocampo: il coach ha deciso di cambiarmi ruolo, ero un po’ titubante ma alla fine è andata benissimo perché sono riuscito a segnare il nostro primo gol. Oddio, il gol in sé non è stato proprio bellissimo… (ride, perché ha segnato con un tocco in mischia su calcio d’angolo, ndr.). Però rimarrà per sempre un momento speciale, e a fine partita mi hanno anche regalato il pallone firmato da tutti i miei compagni. Giusto festeggiare con una bella americanata, no?

Che calcio hai trovato negli Usa? C’è qualcosa che ti ha stupito, in positivo o in negativo?

Ad essere sincero mi ero fatto un’idea ben diversa da quella che poi ho vissuto concretamente. Mi aspettavo un calcio molto fisico, con tante transizioni e poca tattica. Non avrei mai pensato di trovare così tanti giocatori internazionali, tanto nella nostra squadra quanto in quelle avversarie. A Niagara abbiamo giocatori italiani, portoghesi, neozelandesi, sudamericani e canadesi, anche se questi ultimi giocano praticamente in casa perché siamo a un passo dal confine. Questa varietà fa sì che ogni avversario ti proponga uno stile e delle situazioni di gioco differenti: a volte ero quasi rapito dal fatto di trovarmi di fronte squadre composte per metà da ragazzi francesi, che giocano in verticale a grande velocità, o magari avversari spagnoli o sudamericani, piccoletti ma con tecnica sopraffina. Il college soccer è questo, variegato e pieno di sorprese. Un’altra delle cose belle che ho trovato negli Stati Uniti”.

In squadra con te c’è anche un figlio d’arte: Luigi Boa Morte, figlio dell’ex esterno della nazionale portoghese.

Bellissimo condividere l’avventura con lui, che porta in spogliatoio un bagaglio importante, da calcio vero. In estate ha svolto la preparazione con l’Everton, dove papà era vice allenatore, e ci fa vedere tutti i video con le migliori giocate di Luis in Premier League o con il Portogallo. Era un esterno devastante, e quando viene a trovare il figlio si ferma spesso a parlare con tutti noi, raccontandoci aneddoti della carriera e della sua grande amicizia con Luis Figo. L’America, d’altronde, è così: sei in un contesto davvero aperto a tutti, nel quale puoi incontrare persone che si sono realizzate nella loro carriera ma che sono pronte a condividere con te le loro esperienze, per ispirarti e darti una ulteriore motivazione”.

Nel poco tempo libero a disposizione, hai avuto modo di girare un po’ e di visitare qualche città?

Sono stato ovviamente a New York e anche a Chicago, ma le mie mete preferite sono la parte canadese delle cascate del Niagara e Toronto, una città davvero bellissima che possiamo raggiungere in appena un’ora e mezza. Quando abbiamo qualche giorno libero noleggiamo un piccolo autobus e ci andiamo tutti insieme, per passare uno o due giorni di svago prima di rituffarci nelle nostre attività. Un altro modo per vivere esperienze che ci legano ancora di più e che ci rendono quasi come fratelli, più che compagni di squadra”.

Quali sono gli obiettivi per le prossime stagioni?

Intanto chiudere bene il primo anno con gli esami finali, per poi godermi delle meritate vacanze. Poi continuare a migliorare sotto tutti i punti di vista, in campo e fuori. Tra l’altro, ho scoperto che il record di gol e assist a Niagara appartiene a un italiano: si chiama Joe Casucci, ho tre anni per tentare di migliorare le sue cifre. Quindi ne approfitto per fare un appello: coach Boyle, rimettimi in attacco!

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